È per le speranze deluse che in tanti avevamo riposto nel PD, sin dall’inizio, sin da quando con la sottoscrizione costitutiva lo abbiamo fatto nascere questo partito. Speranze scemate man mano che, col passare del tempo, per dirla alla Rosy Bindi, mentre il partito si faceva liquido diventavano solide le correnti, le sub-correnti, i gruppi e i gruppetti dai nomi fantasiosi (dai giovani turchi ai giovani curdi, dai teodem agli ecodem, dagli ulivisti ai civatiani, per non citare i più famosi bersaniani o i dalemiani e così via), tutti molto attenti soprattutto agli equilibri da conservare al mutare del vento. Non un partito dunque, ma una sorta di flotta, di velieri multicolori che navigano a vista. È per le speranze frustrate, ma non sconfitte e che ancora nutriamo perché i partiti possano recuperare la funzione loro affidata dalla Costituzione repubblicana, cioè quella di essere “portatori di interessi generali”, ribaltando quindi l’attuale diletto di intessere esclusivamente intrecci di interessi particolari. Perché confidiamo nella possibilità che la buona coscienza dei cittadini possa infine costringere le forze politiche a cambiare.
È per l’insopprimibile desiderio di contribuire in qualche modo a far si che il contesto sociale in cui viviamo possa progredire, migliorando i rapporti e le condizioni degli individui in ragione dei principi di equità e di rispetto dei valori umani.
È per queste ragioni che penso sia doveroso analizzare in modo approfondito, se necessario impietoso, l’attuale condizione del PD affinché esso riesca a rigenerarsi e diventare finalmente ciò che avrebbe dovuto essere, ma non è stato: un soggetto politico capace di perseguire e far affermare un reale orientamento di emancipazione sociale.
Occorre incominciare daccapo e per farlo bisogna prendere atto che il PD attuale è un non-partito. Quello che è accaduto a Grottaferrata con le recenti primarie per la scelta del candidato alla carica di sindaco, così come è successo in quasi tutti gli altri comuni parimenti impegnati, è emblematico.
Basta rileggere l’intervista rilasciata al Beccogiallo dal vincitore delle primarie per capire che non si è trattato delle consultazioni di un partito teso a scegliere democraticamente il candidato più rappresentativo per sostenere una linea politica, ma della lotta di soggetti di diversa estrazione e formazione, contrapposti al solo scopo di prevalere l’uno sull’altro.
Nell’intervista Broccatelli sostiene: ”il meccanismo delle primarie andrebbe rivisto perché non è pensabile di coinvolgere un così alto numero di cittadini con queste regole d’ingaggio. C’è il rischio che altre sensibilità politiche possano concorrere a determinare il candidato sindaco del centro sinistra”. Quindi, neanche tanto velatamente, Broccatelli denuncia ciò che tutti già sanno: infiltrazioni di persone aventi orientamento politico opposto al centro sinistra possono agevolmente inquinare il voto. E se questo è ciò che è avvenuto, chi ne ha beneficiato? La trasparenza esigerebbe che il ragionamento venisse completato; i modi per accertarlo non sono poi così complicati (se non si procede c’è odore di omertà). Dunque uno strumento di partecipazione democratica senza le garanzie democratiche. Un capolavoro del non-partito.
Broccatelli prosegue: ”sarà mia cura … chiamare gli altri due candidati per chieder loro, sulla base del documento a suo tempo sottoscritto, di mantenere l’impegno a sostenere lealmente il candidato che ha vinto… ho buone ragioni per avere fiducia che questa composizione possa avvenire”. Di bene in meglio! I candidati alle primarie di uno stesso partito, per di più sedicente democratico, hanno bisogno di sottoscrivere una patto di lealtà prima della competizione e, soprattutto, hanno bisogno di essere richiamati dal vincitore a rispettarlo. Evidentemente la cosa non è scontata. Del resto Luciano Andreotti, il terzo candidato, in una intervista al Mamilio afferma: “è stato firmato un codice etico, ma non mi pare sia stato rispettato”. In un partito vero ciò non dovrebbe accadere, ma nel non-partito accade questo ed altro.
E poi la storia dei manifesti. Tralasciamo (ma non si dovrebbe) la scorrettezza di chi si autoproclama candidato del centro sinistra per il fatto di aver vinto, per il rotto della cuffia, le primarie del PD, anche ben sapendo che ci sono forze e movimenti che pur appartenendo a quell’area politica hanno fatto la scelta di presentarsi autonomamente alle elezioni amministrative. Ciò che sottolinea l’anomalia di questo partito è il fatto che sono stati affissi manifesti di ringraziamento dei singoli candidati, così da evidenziarne la distanza l’uno dall’altro. Un partito vero avrebbe ringraziato gli elettori per la loro partecipazione con un solo manifesto, e lo avrebbe fatto sottoscrivere dai tre concorrenti in segno di concordia ed unità d’intenti. Ma al non-partito cosa vuoi che importi di queste sciocchezze. Del resto come si sarebbe potuto fare diversamente se il vincitore, come s’è potuto leggere nell’intervista, in buona sostanza accusa di superficialità il suo amico competitore, peraltro di pari forza politica e con il quale aveva presentato al congresso locale una lista unitaria?
In molti si chiedono: ma perché alcuni ex esponenti del PD hanno deciso di impegnarsi esternamente al partito? La risposta è molto semplice. Oltre alle ragioni sopra descritte, in particolare quelle ragioni che nella citata intervista vengono definite con una frase eufemistica, mutuata dal gergo militare, come “regole d’ingaggio”, ma che in realtà sono metodi di accaparramento del consenso eticamente censurabili – metodi che sono stati oggetto di aspri confronti e tuttavia ancora disinvoltamente utilizzati – c’è da dire che all’interno del PD il dibattito politico è talmente strozzato che l’unico spazio utilizzabile è monopolizzato dalla costante lotta per la supremazia delle fazioni.
Io tifo per un nuovo centro sinistra. Tifo anche per un nuovo PD, e spero vivamente che gli elettori di Grottaferrata, con il loro voto, sappiano mandare segnali importanti per costringere il non-partito ad una riflessione profonda. E allora tifo ancor di più per La Città al Governo, perché più la frequento e più mi convinco che rappresenti l’unica forza politica che abbia saputo individuare l’unico approdo possibile, in questo lago senza sponde in cui siamo costretti a navigare. È un approdo collocato ben oltre la contingenza della competizione elettorale. La Città al Governo, indipendentemente dal risultato, intende proseguire e consolidare un costante rapporto con i cittadini affinché essi stessi possano diventare reali protagonisti nella costruzione del proprio futuro.
Ruggero Capelli
21 marzo 2014